RifLeggendo

L'autore racconta cosa c'è nel suo cuore e nella sua memoria, l'editore vende il racconto nel modo che gli sembra più adatto a quella storia o a quel pubblico, il lettore percepisce la storia secondo ciò che ha nel cuore e nella memoria. A volte lettore - editore - autore si incontrano per parlare del libro che non appartiene più a nessuno ma ha una vita sua. Mille riflessioni possono nascere dalla stessa lettura, uguali e contrastanti per questo le chiamo RifLetture che sono altro dalle recensioni. Chi recensisce giudica, io non sono all'altezza di giudicare ma sicuramente posso riflettere nelle letture: RifLeggendo condivido qui.

domenica 8 marzo 2015

Femminista e femminile - 8 marzo con Jung Chang, Tre figlie della Cina

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#ioleggodifferente Pensavate che non avrei postato nulla sulle donne proprio l'8 marzo, vero? Qualcuno forse lo ha sperato. Il fatto è che ci ho tanto pensato ma non trovavo nulla di valido. Gli auguri? L'unico augurio che posso fare è che invece di far tornare indietro le donne "emancipate" spero che si possa portare alla categoria umana anche quelle costrette ad altra vita. L'augurio è che tutti gli uomini del mondo capiscano che noi siamo con loro, che non hanno bisogno di violenza per essere amati, che l'unico modo per essere amati è amare e amare vuol dire lasciar vivere, altrimenti non è amore. Questo il mio augurio per le donne di oggi e di domani.

Rimango dell'avviso che non amo le femministe arrabbiate ma preferisco quelle educate e che non bisogna avere uno stereotipo di femminilità ma bisogna lasciare che ogni donna possa esprimere la sua. Noi donne occidentali siamo molto fortunate e non dobbiamo dimenticarlo mai o rischiamo di perdere i diritti acquisiti, ma non siamo le uniche donne al mondo e così alla fine, quasi quasi per il 9 marzo ho scelto lo spunto. Da un libro di un autore cinese, qualche stralcio, il resto è un pensiero vostro, libero, che non ha bisogno di un mio commento:

(da Cigni Selvaggi, tre figlie della Cina di Jung Chang / un regalo di un'amica olandese che non vedo più ma alla quale volevo molto bene e alla quale auguro tanta, tantissima felicità)
All'età di quindici anni mia nonna divenne concubina di un signore della guerra, un generale capo dlla polizia di un inconsistente governo nazionale cinese.  Era il 1924, e la Cina era in preda al caos. [...] L'unione fu combinata dal padre di lei. [...] Secondo l'usanza, il mio bisnonno accettò un matrimonio combinato quando era molto giovane, a quattordici anni, con una donna che ne aveva sei di più. Contribuire ad "allevare" il marito era considerato uno dei doveri di una moglie.
La storia di sua moglie, la mia bisnonna, era tipica di milioni di donne cinesi del suo tempo. Proveniva da una famiglia di conciatori, i Wu. Poiché i suoi non erano intellettuali e non occupavano cariche pubbliche, e poiché era una femmina, non le avevano neppure dato un nome. Visto che era la seconda delle femmine, la chiamavano semplicemente "figlia numero due". Il padre era morto quando lei aveva pochi mesi, ed era stato uno zio ad allevarla.
Un giorno, quando lei aveva sei anni, lo zio stava cenando con un amico la cui moglie aspettava un bambino. Durante la cena i due uomini avevano pattuito fra loro che, se il bambino fosse stato maschio, lo avrebbero fatto sposare con lei. I due giovani non si erano mai incontrati prima delle nozze. In realtà, innamorarsi era considerato quasi una vergogna, un disonore per la famiglia. [...] Con un po' di fortuna ci si poteva sempre innamorare dopo.
Mia nonna era un'autentica bellezza. Aveva il viso ovale, con le guance rosee e la pelle luminosa. I capelli lunghi, di un nero lucente, erano raccolti in una folta treccia che le arrivava fino alla vita. Quando l'occasione lo richiedeva, e cioè quasi sempre, sapeva mantenere un atteggiamento riservato, ma sotto la compostezza esteriore fremeva di energia repressa. Era piccola di statura, circa un metro e sessanta, con una figura snella e le spalle cadenti, che erano considerate l'ideale.
Il suo pregio maggiore, però, che in cinese venivano chiamati "gigli dorati di otto centimetri. Ciò significava che si muoveva come "un tenero virgulto di salice alla brezza primaverile", per usare l'espressione tradizionale degli intenditori di bellezza muliebre cinesi. Si riteneva che la vista di una donna che vacillava sui piedi fasciati avesse un effetto erotico sugli uomini, in parte perché la sua vulnerabilità avrebbe dovuto ispirare a chi la osservava il desiderio di proteggerla.
I piedi di mia nonna erano stati fasciati quando aveva due anni. Dapprima sua madre, che aveva subito anche lei lo stesso trattamento, le aveva avvolto intorno ai piedi una pezza di stoffa bianca lunga circa sei metri, piegando tutte le dita (tranne l'alluce) in basso e al disotto della pianta del piede. Poi ci aveva messo sopra una grossa pietra per frantumare l'arco del piede. Mia nonna aveva urlato per il terribile supplizio, implorandola di smettere, tanto che la madre aveva dovuto ficcarle un cencio in bocca per soffocare le sue grida. La nonna era svenuta più volte per il dolore. Il trattamento si era prolungato per parecchi anni. [...] Quando rpegava la madre di toglierle le fasciature, la mia bisnonna si metteva a piangere e le diceva che i piedi non fasciati le avrebbero rovinato la vita, e che lei lo faceva per la sua felicità futura. [...]

Buon proseguimento donne, che l'amore sia con voi.


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